Autore: David Falchi
Editore: Dunwich Edizioni
Pagine: 270
Prezzo: 3,99 € (ebook), 12,90 € (cartaceo)
Voto: 4/5
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Questo ebook ci è stato gentilmente offerto da Dunwich Edizioni in cambio di una recensione onesta.
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Quarta di copertina:
Ingannati da Hezekiah e dalla Macchina, siamo tornati a Roma, ma in un momento diverso del tempo. La Capitale non ha niente a che vedere con la città che ricordavamo. In questo futuro il Sindaco ha già vinto e ha risucchiato la vita dal nostro piano d'esistenza, lasciando dietro di sé un mondo in rovina dove gli incarnati si combattono incessantemente nella speranza di raggiungere Eden. Circondati da un'atmosfera che avvelena la mente, siamo stati costretti a trattare con una nostra vecchia conoscenza e a piegarci ai voleri di un demone per sperare di aprire un varco e tornare indietro. Ma in un mondo dove la guerra è legge, ogni passo si paga nel dolore e nel sangue, e l'obiettivo si fa così rarefatto da sembrare un'illusione
Recensione di Ariendil:
Prima di iniziare con la recensione devo scoprire le carte e ammettere subito che per me questa è una mano facile. Non sto giocando al buio, conosco le capacità narrative di David Falchi e ho visto crescere Marcello Kiesel libro dopo libro, innamorandomene perdutamente.
Ho quindi iniziato a leggere Purgatory con la gioia di una bambina che scarta il regalo tanto atteso e con la convinzione che quello che troverà sotto la carta colorata non potrà deluderla. Guardato da un altro punto di vista, si potrebbe però dire che ho iniziato la lettura di Purgatory fortemente ben disposta. È possibile che questo possa essere considerato un bias, un elemento in grado di influenzare in positivo il mio giudizio, ma è anche vero che spesso avere delle alte aspettative può portare al risultato opposto.
Per ovviare a questo problema, ho pensato di confrontare Falchi con Falchi e trarre le mie conclusioni su Purgatory proprio da questo confronto.
Ho parlato prima della crescita di Marcello Kiesel, protagonista indiscusso della serie di libri targati Dunwich: è indubbio che in questa serie stia dando il meglio di sé. Le sue caratteristiche personali e professionali sono molto ben definite anche nei libri autoconclusivi precedenti, ognuno dei quali lo arricchisce di particolari e ne mostra nuove sfaccettature, ma è in questa trilogia (o almeno credo che sarà una trilogia) che Kiesel si dimostra un protagonista straordinario. Mentre negli altri libri era praticamente da solo, fatta eccezione per l’immancabile (e guai a farlo mancare!) Lerner, qui deve condividere il palcoscenico con altri personaggi, tutti con caratteristiche interessanti che potrebbero rischiare di oscurarlo: oltre al già citato Lerner, ci sono il capo degli inquisitori Klaus e i vacui provenienti da Eden Clelia e René, ci sono gli abitanti del nuovo mondo, esseri mostruosi e pericolosi, e c’è una vecchissima e potentissima conoscenza di Kiesel, affascinante come non è mai stata. Va detto che ci sono anche alcuni personaggi, come Babe, che purtroppo sono stati sfruttati poco e si resta con la curiosità di sapere cosa avrebbero potuto dare in più se non fossero stati lasciati in panchina. Nessuno, comunque, fa scendere Kiesel dal trono del protagonista, nonostante l’autore sia abile a concedere agli altri lo spazio che meritano. A tenere Kiesel saldo al comando non è solo la narrazione in prima persona proprio dal suo punto di vista, ma è il ruolo di leader che tutti gli altri gli hanno attribuito. In altre parole, è con le azioni dei personaggi e con lo spazio che si dà loro che si determinano i ruoli, i rapporti di forza e gran parte delle dinamiche della storia. Perché, in effetti, di storia intesa come intreccio narrativo ce n’è ben poca in questo libro, sia in senso assoluto sia paragonata agli altri. Dopo gli eventi di Eden, siamo finiti in una versione di Roma popolata da demoni incarnati che hanno annientato gli uomini e ora si sbranano tra loro. Kiesel e i suoi si barricano in un albergo e cercano un modo per scappare da quella realtà: il piano migliore sembra essere recarsi alla casa di Kiesel e cercare tra i suoi libri un incantesimo o un rituale che possa ricondurli nel giusto spazio-tempo. Il giusto spazio-tempo, nella migliore delle ipotesi, sarebbe il momento prima che tutto quel casino cominci, in modo da impedire il disastro prima che avvenga. Questo è il plot narrativo: andare dal punto A al punto B. Estremamente semplice, estremamente complicato. È qualcosa in cui chi mastica saghe fantasy (o comunque fantastiche) si è già imbattuto perché spesso il secondo libro è appunto il libro dello spostamento, della preparazione, dell’attesa.
Ho quindi iniziato a leggere Purgatory con la gioia di una bambina che scarta il regalo tanto atteso e con la convinzione che quello che troverà sotto la carta colorata non potrà deluderla. Guardato da un altro punto di vista, si potrebbe però dire che ho iniziato la lettura di Purgatory fortemente ben disposta. È possibile che questo possa essere considerato un bias, un elemento in grado di influenzare in positivo il mio giudizio, ma è anche vero che spesso avere delle alte aspettative può portare al risultato opposto.
Per ovviare a questo problema, ho pensato di confrontare Falchi con Falchi e trarre le mie conclusioni su Purgatory proprio da questo confronto.
Ho parlato prima della crescita di Marcello Kiesel, protagonista indiscusso della serie di libri targati Dunwich: è indubbio che in questa serie stia dando il meglio di sé. Le sue caratteristiche personali e professionali sono molto ben definite anche nei libri autoconclusivi precedenti, ognuno dei quali lo arricchisce di particolari e ne mostra nuove sfaccettature, ma è in questa trilogia (o almeno credo che sarà una trilogia) che Kiesel si dimostra un protagonista straordinario. Mentre negli altri libri era praticamente da solo, fatta eccezione per l’immancabile (e guai a farlo mancare!) Lerner, qui deve condividere il palcoscenico con altri personaggi, tutti con caratteristiche interessanti che potrebbero rischiare di oscurarlo: oltre al già citato Lerner, ci sono il capo degli inquisitori Klaus e i vacui provenienti da Eden Clelia e René, ci sono gli abitanti del nuovo mondo, esseri mostruosi e pericolosi, e c’è una vecchissima e potentissima conoscenza di Kiesel, affascinante come non è mai stata. Va detto che ci sono anche alcuni personaggi, come Babe, che purtroppo sono stati sfruttati poco e si resta con la curiosità di sapere cosa avrebbero potuto dare in più se non fossero stati lasciati in panchina. Nessuno, comunque, fa scendere Kiesel dal trono del protagonista, nonostante l’autore sia abile a concedere agli altri lo spazio che meritano. A tenere Kiesel saldo al comando non è solo la narrazione in prima persona proprio dal suo punto di vista, ma è il ruolo di leader che tutti gli altri gli hanno attribuito. In altre parole, è con le azioni dei personaggi e con lo spazio che si dà loro che si determinano i ruoli, i rapporti di forza e gran parte delle dinamiche della storia. Perché, in effetti, di storia intesa come intreccio narrativo ce n’è ben poca in questo libro, sia in senso assoluto sia paragonata agli altri. Dopo gli eventi di Eden, siamo finiti in una versione di Roma popolata da demoni incarnati che hanno annientato gli uomini e ora si sbranano tra loro. Kiesel e i suoi si barricano in un albergo e cercano un modo per scappare da quella realtà: il piano migliore sembra essere recarsi alla casa di Kiesel e cercare tra i suoi libri un incantesimo o un rituale che possa ricondurli nel giusto spazio-tempo. Il giusto spazio-tempo, nella migliore delle ipotesi, sarebbe il momento prima che tutto quel casino cominci, in modo da impedire il disastro prima che avvenga. Questo è il plot narrativo: andare dal punto A al punto B. Estremamente semplice, estremamente complicato. È qualcosa in cui chi mastica saghe fantasy (o comunque fantastiche) si è già imbattuto perché spesso il secondo libro è appunto il libro dello spostamento, della preparazione, dell’attesa.
Non starò qui ad analizzare, nell’esempio più alto che ha il fantasy, l’inserimento del blocco narrativo di Saruman per rendere Le Due Torri il capolavoro che è e non soltanto il libro di mezzo tra La Compagnia dell’Anello e Il Ritorno del Re che segue il viaggio di Frodo attraverso Mordor, ma mi limiterò a sottolineare l’importanza di preparare, costruire e mostrare qualcosa di rilevante (non soltanto ai fini del singolo libro ma di tutta la saga) che accompagni il mero spostamento dei personaggi, il mero passaggio dal conflitto mostrato nel primo libro alla risoluzione dello stesso nel terzo.
Insomma, in una saga fantasy il secondo libro può essere un capolavoro o un buco nell’acqua.
Purgatory non è né l’una né l’altra cosa. L’autore capisce di dover fare di più che limitarsi a ciò che serve e che non basta una buona ambientazione per rimanere sullo stesso livello qualitativo di Eden. Capisce anche che c’è bisogno di un lavoro di collante con ciò che è già avvenuto e con ciò che avverrà, deve prendere qualcosa dagli eventi passati e dare qualcosa per quelli futuri e lo fa con pazienza, senza buttare subito tutti gli elementi in pasto all’avido lettore (sì, sono anch’io un’avida lettrice). Alcuni di questi elementi, i più forti, si faranno attendere, arrivando a riaccendere la miccia dell’attenzione proprio quando ci si stava abituando all’eccessiva semplicità di trama dell’inizio. La scelta è rischiosa perché la prima metà del libro sembra davvero solo l’attraversamento di un dungeon, ma dà al resto velocità e potenza narrativa, tanto che la seconda metà del libro si divora.
Purgatory resta quindi, nella mia classifica personale dei lavori di David Falchi, un gradino sotto a Eden, ma mantiene viva la curiosità su questa saga e il finale è un ottimo gancio per lanciare il terzo capitolo, un inferno tutto da scoprire.
Insomma, in una saga fantasy il secondo libro può essere un capolavoro o un buco nell’acqua.
Purgatory non è né l’una né l’altra cosa. L’autore capisce di dover fare di più che limitarsi a ciò che serve e che non basta una buona ambientazione per rimanere sullo stesso livello qualitativo di Eden. Capisce anche che c’è bisogno di un lavoro di collante con ciò che è già avvenuto e con ciò che avverrà, deve prendere qualcosa dagli eventi passati e dare qualcosa per quelli futuri e lo fa con pazienza, senza buttare subito tutti gli elementi in pasto all’avido lettore (sì, sono anch’io un’avida lettrice). Alcuni di questi elementi, i più forti, si faranno attendere, arrivando a riaccendere la miccia dell’attenzione proprio quando ci si stava abituando all’eccessiva semplicità di trama dell’inizio. La scelta è rischiosa perché la prima metà del libro sembra davvero solo l’attraversamento di un dungeon, ma dà al resto velocità e potenza narrativa, tanto che la seconda metà del libro si divora.
Purgatory resta quindi, nella mia classifica personale dei lavori di David Falchi, un gradino sotto a Eden, ma mantiene viva la curiosità su questa saga e il finale è un ottimo gancio per lanciare il terzo capitolo, un inferno tutto da scoprire.
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