Titolo: Leviathan - Il risveglio (The Expanse #1)
Autore: James S. A. Corey
Editore: Fanucci
Pagine: 610
Prezzo: 4,99 € (ebook), 19,00 € (cartaceo)
Voto: 4,5/5
Puoi acquistarlo QUI.
Autore: James S. A. Corey
Editore: Fanucci
Pagine: 610
Prezzo: 4,99 € (ebook), 19,00 € (cartaceo)
Voto: 4,5/5
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Quarta di copertina:
L’umanità ha colonizzato l’intero sistema solare, spingendosi fino all’orbita di Nettuno grazie alla scoperta di un avveniristico motore a fusione. Jim Holden presta servizio sulla Canterbury, un cargo che trasporta ghiaccio attraverso gli infiniti spazi tra gli anelli di Saturno e la Fascia, l’arcipelago di asteroidi che si estende tra Marte e Giove. Incaricato di ispezionare il relitto di una nave spaziale, la Scopuli, sopravvivrà alla distruzione della Canterbury in seguito a un proditorio attacco nemico. Un fatto inaudito che porta la Terra, Marte e la Fascia sull’orlo della catastrofe planetaria. Nel frattempo, sull’asteroide Ceres, il detective Miller è impegnato nelle ricerche di Julie Mao, una giovane ribelle che ha rinnegato la sua famiglia sulla Terra e si è rifugiata nella Fascia. La ragazza sembra scomparsa nel nulla, ma le sue tracce portano dritto al relitto della Scopuli e a una vicenda di orribili esperimenti che qualcuno sta tentando di insabbiare, anche a costo di scatenare una guerra senza precedenti. Il debutto di una serie che ha rivoluzionato il concetto di Science Fiction. Benvenuti nel futuro!Recensione:
Space opera di ampio
respiro, visto che Leviathan è solo il primo di una saga, The Expanse, che al
momento conta sette libri pubblicati, altri due in stesura, una mezza dozzina
di racconti spin-off e una serie tv (che personalmente non ho intenzione di iniziare
a vedere prima di aver finito di leggere tutti i libri, anche quelli che devono
essere ancora scritti o pensati).
Scopro subito le carte dicendo che tutta l’attenzione che orbita attorno a questa storia è più che meritata e che l’iperproduzione di materiale, letterario e non, è cosa buona e giusta. Uno space di questo livello mancava da un bel po’, almeno su carta. A mio giudizio e per i miei gusti, addirittura da tempi di asimoviana memoria.
I punti di forza di questo romanzo sono essenzialmente due: i personaggi in primo piano e la minaccia sullo sfondo.
Partiamo dai primi. Come si vedrà anche nei libri successivi, è evidente la scelta di puntare forte su un nucleo ristretto di personaggi che hanno il compito di portare avanti sia la trama verticale sia quella orizzontale. Nello specifico, si parla dell’equipaggio della Canterbury (che diventerà poi l’equipaggio della mitica Rocinante). Il capitano Holden, umano proveniente dalla Terra, è il sole attorno a cui ruotano gli altri membri dell’equipaggio: il pilota marziano Alex, il meccanico terrestre Amos e l’ingegnere cinturiana Naomi (più il medico Shed). Già da questa presentazione si notano due particolari che, senza bisogno di altro, ci danno qualche idea in più degli elementi cardine di questa storia: l’importanza dei ruoli e della provenienza. Chi fa cosa (e di conseguenza chi è esperto in cosa) è il motivo principale che ci porterà, nel corso di questo libro e degli altri, a fare la conoscenza di un numero elevatissimo di personaggi. Non siamo davanti all’eroe improvvisato che prende per la prima volta in mano una pistola laser e centra l’occhio del nemico da distanza impossibile, non ci sono cuochi che si mettono a fare i piloti perché la trama richiede che qualcuno sposti la navicella dal punto A al punto B. Al contrario, ci sono personaggi con determinate caratteristiche che si ritroveranno a fare più o meno sempre quello per cui sono lì, e ogni volta che ci troveremo davanti a un’eccezione (vedi la capacità di Amos di usare le armi) questa sarà sempre giustificata dal background del personaggio. Noioso? No. Coerente. Se il meccanico di una nave spaziale, che viene sempre presentato con in mano chiavi inglesi e cacciaviti, comincia a fare Rambo durante una sparatoria non basta come spiegazione che abbia in mano un mitra. Il lettore vuole sapere perché lo sa usare, visto che non gli risulta che la cassetta degli attrezzi del meccanico sotto casa sua sia dotata di armi. Precedenti esperienze militari, invece, spiegano questa dimestichezza con le armi e lo fanno senza star lì a raccontare la storia nella storia di un personaggio che, come detto, non è il sole.
Il sole è Jim Holden, al centro e fermo nel casino che, più o meno involontariamente, combina. È un buono buono (quindi anche un po’ scemo), sincero, puro, fiducioso, ma ha un difetto che dalle mie parti si riassume così: non si sa tenere un cecio in bocca. Holden parla. Parla (tanto) in generale e parla (troppo) con tutti. È da questa sua convinzione che la verità debba essere sempre detta a tutti che si scatena il big bang, un caos talmente grande che coinvolge tutti, dal sole appunto ai pianeti esterni.
Ecco quindi l’importanza del secondo elemento suggerito dalla costruzione dell’equipaggio, che rispecchia anche la costruzione geopolitica del sistema solare: la provenienza.
Dunque, abbiamo qui un sistema solare colonizzato ormai in tempi remotissimi dai terrestri e dai discendenti dei terresti e abitato quasi ovunque, diviso in due zone: i pianeti interni e i pianeti esterni (compresi anche tutti i satelliti). Tra i primi la parte dei leoni la fanno Terra e Marte, i due grandi poli di potere politico e militare, da sempre nemici-amici. I pianeti esterni sono presentati come il terzo mondo dello spazio. In tutti i sensi. In difficoltà economica, sovrappopolati e con tutti i problemi che da questo derivano. In questo contesto, acquisisce sempre più potere l’APE (Alleanza dei Pianeti Esterni), vista come potenza liberatrice dalla popolazione dei pianeti esterni e come gruppo terroristico dagli interni.
L’equipaggio eterogeneo di Holden, però, convive più che armoniosamente con le proprie differenze culturali, ma si ritrova al centro delle tensioni interplanetarie proprio dopo la decisione di Holden di spifferare in diretta spaziale tutta la (sua) verità in merito a un incidente che ha coinvolto una nave e in cui pare sia invischiata proprio una di queste tre potenze politiche.
La strada di Holden e del suo equipaggio si incrocia così con quella del detective Miller, poliziotto alle prese con il caso di una ragazza scomparsa a bordo di quella nave.
Miller è il secondo protagonista del romanzo: un buono anche lui, ma burbero, fosco, con più vizi che virtù, l’opposto di Holden. I due finiscono però per lavorare fianco a fianco, stringendo un rapporto particolare basato sulla stima reciproca e forse anche su una punta di invidia per il modo dell’altro di vedere la vita. Ad ogni modo, scopriranno insieme la minaccia che sarà la grande paura di questo primo libro ma anche il pericolo latente per i successivi. Ed è qualcosa capace di scatenare nel lettore fantasie e domande.
Impossibile non continuare col secondo volume e poi col terzo e così via, soprattutto considerando l’espediente di fondo per rinfoltire sempre la rosa dei personaggi. L’idea, mantenuta in ogni libro, è infatti quella di usare una focalizzazione interna variabile, alternando di capitolo in capitolo il punto di vista dei personaggi principali. In Leviathan abbiamo Holden e Miller (con il capitolo d’apertura di Julie, la ragazza scomparsa), ma in ogni libro ci saranno aggiunte di personaggi e voci nuove che si affiancheranno al sempre presente Holden. È una narrazione che dà freschezza, sia nel singolo romanzo sia alla lunga distanza, e che permette da una parte di ampliare il panorama narrativo e dall’altra di smembrarne i problemi più grandi dando tante piccole soluzioni e tante piccole spiegazioni attraverso il contributo di ogni personaggio.
Un libro perfetto, quindi? No. Leviathan ha una grossa, enorme, pecca. Sono le prime cinquanta pagine. Come spesso accade con la fantascienza, si danno troppe cose per scontate in partenza, inondando il lettore con la nuova tecnologia, la nuova politica, i nuovi mondi, i nuovi termini. Poi viene tutto spiegato, intendiamoci, e in queste novità ci si sguazza alla grande e con agio, ma all’inizio si fa un po’ fatica. Non aiuta un ingolfamento iniziale di trama che stenta a far decollare la storia e che fa erroneamente sembrare quasi piatti o insopportabili i due personaggi principali.
Superate quelle cinquanta pagine, date retta a me. In fondo, anche l’accelerazione per superare l’atmosfera è uno strazio, ma poi da lassù la vista è uno spettacolo.
Scopro subito le carte dicendo che tutta l’attenzione che orbita attorno a questa storia è più che meritata e che l’iperproduzione di materiale, letterario e non, è cosa buona e giusta. Uno space di questo livello mancava da un bel po’, almeno su carta. A mio giudizio e per i miei gusti, addirittura da tempi di asimoviana memoria.
I punti di forza di questo romanzo sono essenzialmente due: i personaggi in primo piano e la minaccia sullo sfondo.
Partiamo dai primi. Come si vedrà anche nei libri successivi, è evidente la scelta di puntare forte su un nucleo ristretto di personaggi che hanno il compito di portare avanti sia la trama verticale sia quella orizzontale. Nello specifico, si parla dell’equipaggio della Canterbury (che diventerà poi l’equipaggio della mitica Rocinante). Il capitano Holden, umano proveniente dalla Terra, è il sole attorno a cui ruotano gli altri membri dell’equipaggio: il pilota marziano Alex, il meccanico terrestre Amos e l’ingegnere cinturiana Naomi (più il medico Shed). Già da questa presentazione si notano due particolari che, senza bisogno di altro, ci danno qualche idea in più degli elementi cardine di questa storia: l’importanza dei ruoli e della provenienza. Chi fa cosa (e di conseguenza chi è esperto in cosa) è il motivo principale che ci porterà, nel corso di questo libro e degli altri, a fare la conoscenza di un numero elevatissimo di personaggi. Non siamo davanti all’eroe improvvisato che prende per la prima volta in mano una pistola laser e centra l’occhio del nemico da distanza impossibile, non ci sono cuochi che si mettono a fare i piloti perché la trama richiede che qualcuno sposti la navicella dal punto A al punto B. Al contrario, ci sono personaggi con determinate caratteristiche che si ritroveranno a fare più o meno sempre quello per cui sono lì, e ogni volta che ci troveremo davanti a un’eccezione (vedi la capacità di Amos di usare le armi) questa sarà sempre giustificata dal background del personaggio. Noioso? No. Coerente. Se il meccanico di una nave spaziale, che viene sempre presentato con in mano chiavi inglesi e cacciaviti, comincia a fare Rambo durante una sparatoria non basta come spiegazione che abbia in mano un mitra. Il lettore vuole sapere perché lo sa usare, visto che non gli risulta che la cassetta degli attrezzi del meccanico sotto casa sua sia dotata di armi. Precedenti esperienze militari, invece, spiegano questa dimestichezza con le armi e lo fanno senza star lì a raccontare la storia nella storia di un personaggio che, come detto, non è il sole.
Il sole è Jim Holden, al centro e fermo nel casino che, più o meno involontariamente, combina. È un buono buono (quindi anche un po’ scemo), sincero, puro, fiducioso, ma ha un difetto che dalle mie parti si riassume così: non si sa tenere un cecio in bocca. Holden parla. Parla (tanto) in generale e parla (troppo) con tutti. È da questa sua convinzione che la verità debba essere sempre detta a tutti che si scatena il big bang, un caos talmente grande che coinvolge tutti, dal sole appunto ai pianeti esterni.
Ecco quindi l’importanza del secondo elemento suggerito dalla costruzione dell’equipaggio, che rispecchia anche la costruzione geopolitica del sistema solare: la provenienza.
Dunque, abbiamo qui un sistema solare colonizzato ormai in tempi remotissimi dai terrestri e dai discendenti dei terresti e abitato quasi ovunque, diviso in due zone: i pianeti interni e i pianeti esterni (compresi anche tutti i satelliti). Tra i primi la parte dei leoni la fanno Terra e Marte, i due grandi poli di potere politico e militare, da sempre nemici-amici. I pianeti esterni sono presentati come il terzo mondo dello spazio. In tutti i sensi. In difficoltà economica, sovrappopolati e con tutti i problemi che da questo derivano. In questo contesto, acquisisce sempre più potere l’APE (Alleanza dei Pianeti Esterni), vista come potenza liberatrice dalla popolazione dei pianeti esterni e come gruppo terroristico dagli interni.
L’equipaggio eterogeneo di Holden, però, convive più che armoniosamente con le proprie differenze culturali, ma si ritrova al centro delle tensioni interplanetarie proprio dopo la decisione di Holden di spifferare in diretta spaziale tutta la (sua) verità in merito a un incidente che ha coinvolto una nave e in cui pare sia invischiata proprio una di queste tre potenze politiche.
La strada di Holden e del suo equipaggio si incrocia così con quella del detective Miller, poliziotto alle prese con il caso di una ragazza scomparsa a bordo di quella nave.
Miller è il secondo protagonista del romanzo: un buono anche lui, ma burbero, fosco, con più vizi che virtù, l’opposto di Holden. I due finiscono però per lavorare fianco a fianco, stringendo un rapporto particolare basato sulla stima reciproca e forse anche su una punta di invidia per il modo dell’altro di vedere la vita. Ad ogni modo, scopriranno insieme la minaccia che sarà la grande paura di questo primo libro ma anche il pericolo latente per i successivi. Ed è qualcosa capace di scatenare nel lettore fantasie e domande.
Impossibile non continuare col secondo volume e poi col terzo e così via, soprattutto considerando l’espediente di fondo per rinfoltire sempre la rosa dei personaggi. L’idea, mantenuta in ogni libro, è infatti quella di usare una focalizzazione interna variabile, alternando di capitolo in capitolo il punto di vista dei personaggi principali. In Leviathan abbiamo Holden e Miller (con il capitolo d’apertura di Julie, la ragazza scomparsa), ma in ogni libro ci saranno aggiunte di personaggi e voci nuove che si affiancheranno al sempre presente Holden. È una narrazione che dà freschezza, sia nel singolo romanzo sia alla lunga distanza, e che permette da una parte di ampliare il panorama narrativo e dall’altra di smembrarne i problemi più grandi dando tante piccole soluzioni e tante piccole spiegazioni attraverso il contributo di ogni personaggio.
Un libro perfetto, quindi? No. Leviathan ha una grossa, enorme, pecca. Sono le prime cinquanta pagine. Come spesso accade con la fantascienza, si danno troppe cose per scontate in partenza, inondando il lettore con la nuova tecnologia, la nuova politica, i nuovi mondi, i nuovi termini. Poi viene tutto spiegato, intendiamoci, e in queste novità ci si sguazza alla grande e con agio, ma all’inizio si fa un po’ fatica. Non aiuta un ingolfamento iniziale di trama che stenta a far decollare la storia e che fa erroneamente sembrare quasi piatti o insopportabili i due personaggi principali.
Superate quelle cinquanta pagine, date retta a me. In fondo, anche l’accelerazione per superare l’atmosfera è uno strazio, ma poi da lassù la vista è uno spettacolo.
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