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Recensione: L'uomo che non c'era, di Erin E. Keller

Titolo: L'uomo che non c'era
Autore: Erin E. Keller
Editore: Triskell Edizioni
Pagine: 304
Prezzo: 4,99 € (ebook) e 10,00 € (cartaceo)

Voto: 4,5/5

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Quarta di copertina: 

Jimmy O’Brien non ha avuto una vita facile. 
Nato in una famiglia molto povera e picchiato quotidianamente dal padre violento, da ragazzino riesce a scappare a morte certa piombando letteralmente tra le mani di George Finn, boss irlandese di Chicago, braccio destro di Bugs Moran, famoso rivale di Al Capone. Da quel momento in poi, Jimmy entra a far parte di un mondo fatto di violenza e cieca fedeltà al capo. 
Jimmy è abituato a non esternare i propri sentimenti, l’ha imparato fin da bambino. Ma la vicinanza con il figlio di George, Henry, gli rende la vita difficile e ancora più tormentata. 
L’incontro con un ragazzo di strada, poi, complica ulteriormente le cose, soprattutto quando proprio Henry decide inspiegabilmente di ospitarlo nella sua villa.
Il Natale è ormai alle porte, e l’arrivo imminente di un carico di alcolici dall’Europa potrebbe essere l’occasione tanto attesa dal clan Moran per avere la meglio su Capone. 
Per assicurarsi che tutto vada per il meglio, Jimmy si affida a un poliziotto che ha sempre ricattato dopo averlo incontrato in un locale per omosessuali, David Sheena. David è luce, tanto quanto Jimmy è ombra. 
In un mondo in bianco e nero, dove non c’è spazio per le debolezze, Jimmy si troverà a dover lottare per la propria vita e per quella delle persone a cui tiene, cercando di tenere a bada ciò che si agita nel suo petto e che non avrebbe mai pensato che potesse farlo sentire così vivo.

Recensione di Antonella:

La prima cosa che colpisce di questo romanzo è l’immagine di copertina: scura, in ombra, richiama un’idea di solitudine e di mistero. Mi piace mettere in evidenza la particolarità di questa cover perché richiama perfettamente alcuni aspetti preponderanti nel libro, cosa che non capita sempre, anche se dovrebbe.
Il romanzo di Erin Keller si muove nell’ombra: quella dei vicoli della città di Chicago, ma anche quella che offusca l’anima dei protagonisti. La trama racconta le vicende legate alla lotta mafiosa tra il clan irlandese di Bugs Moran e quello italiano di Al Capone, e lo fa attraverso gli occhi di Jimmy O’Brien, adottato da ragazzino dalla famiglia Finn, associata a Moran, che ne ha fatto il proprio uomo di fiducia. Jimmy cresce imparando a celare le proprie emozioni e assumendo l’aspetto di un uomo freddo e distaccato, capace di non scomporsi di fronte a niente perché privo di sentimento. Le cose però sono destinate a cambiare: Jimmy sta per scoprire di avere dentro di sé molto più di quanto credeva. Siamo nel periodo natalizio, c’è in ballo una missione importantissima e lui deve gestire da una parte la pressione del suo capo, Henry Finn, del quale è stato innamorato per anni, e dall’altra questo inspiegabile risveglio dei suoi sensi che lo porta a farsi domande scomode e a prendere atto della vita che conduce: una vita dura, fatta di sangue e violenza, una vita amara.
Un aspetto che ho molto apprezzato in questo romanzo è il fatto che l’autrice ponga l’accento su una dicotomia fondamentale: non siamo ciò che facciamo, ma ciò che facciamo determina ciò che siamo. In altre parole, Jimmy è un mafioso, ma per dirla con le parole del giovane Martin, un personaggio secondario estremamente ben caratterizzato, è anche una persona buona. Si può essere un brav’uomo e un malavitoso allo stesso tempo? Jimmy ha sempre creduto di no, ma all’improvviso i fatti lo portano a domandarsi se non sia possibile. Forse potrebbe davvero cambiare vita, ricominciare, lontano da tutto quell’orrore e quella violenza. Ma ci sono grossi guai da risolvere, e lui non può abbandonare Henry proprio adesso che ha così tanto bisogno di lui.
L’unico appunto che posso fare, rispetto all’improvviso cambiamento di Jimmy, è che ho avuto l’impressione che questo fosse un po’ troppo repentino: si può andare incontro a un’evoluzione tanto significativa nel giro di pochi giorni? Forse sì, soprattutto se esistono elementi che l’hanno preparata in precedenza. Sul momento, però, mi ha lasciata un po’ perplessa. Nel complesso, comunque, nulla toglie alla scorrevolezza e alla coerenza del testo.
La trama si sviluppa all’interno di questo ambiente fatto di chiaroscuri, muovendosi nell’ombra di una città dominata dalla violenza, dipanando eventi che si intrecciano e si completano al meglio. La storia è molto ben congegnata, porta il lettore al punto di credere che non ci sia più speranza, ma occorre avere fede: la Keller non delude. Il ritmo è sostenuto e si mantiene dall’inizio alla fine, senza cedimenti. Il lettore è invogliato a proseguire la lettura una pagina dopo l’altra, spronato dal desiderio di accompagnare i protagonisti e vederli giungere sani e salvi in fondo alla prova. Se un autore riesce ad avvincere in questo modo chi legge, allora è stato fatto un buon lavoro; il romanzo di Erin Keller lo è, indubbiamente.
I personaggi principali sono quattro: Jimmy, Henry, Martin e David. Sono tutti ben caratterizzati, dotati di una psicologia coerente e approfondita. I personaggi secondari sono meno strutturati, svolgono unicamente la funzione di rendere possibile lo svolgimento degli eventi. La credibilità di questo romanzo, peraltro costruito su una puntuale ricerca storica del periodo e dei fatti citati, è accresciuta dalla veridicità dei suoi protagonisti, che si muovono e si evolvono in sincronia.

Un buon romanzo, quindi, in cui crudezza e speranza si mescolano in un intreccio agrodolce che accompagna il lettore fino alla fine. 



Immagine "A cura di"

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