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Recensione: Le peggiori paure, di Fay Weldon

Titolo: Le peggiori paure
Autore: Fay Weldon
Editore: Fazi Editore
Pagine: 224
Prezzo: 9,99 € (ebook), 16,00 € (cartaceo)

Voto: 4,5/5

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Questo ebook ci è stato gentilmente offerto da Fazi Editore in cambio di una recensione onesta.

Quarta di copertina: 

Alexandra Ludd, attrice e donna affermata, è appena rimasta vedova. Il marito Ned, un critico teatrale molto in vista, è morto inaspettatamente a causa di un infarto nella loro bella casa di campagna, mentre lei si trovava a Londra. Fino a quel momento il rapporto tra i due sembrava felice e privo di ombre, e ora Alexandra è sconvolta, ma una serie di strani dettagli la obbliga a porsi delle domande: accenni di indizi e mezze parole nel giro di pochi giorni si concretizzano in una verità che sovverte ogni sua convinzione in quanto donna, madre e artista. Una rivelazione dopo l’altra, la protagonista giunge alla definitiva presa di coscienza: le sue amicizie erano false, tutte le sue peggiori paure avevano un fondamento, Ned aveva una vita parallela di cui lei era totalmente all’oscuro.
Un libro estremo, esagerato, sostenuto da una scrittura che si muove con sicurezza sul sottile discrimine fra tragedia e ironia e che, attimo per attimo, sembra seguire, più che costruire, il passaggio della protagonista dall’umiliazione alla vendetta.
Le peggiori paure spiazza e coinvolge il lettore, tenendolo avvinto fino all’ultima pagina in un crescendo di colpi di scena in cui la complicità e le competizioni femminili sono messe a nudo in un continuo confronto di incomunicabilità con il fragile, ambiguo universo maschile.
Il miglior romanzo di Fay Weldon, l’autrice inglese più anticonformista, irriverente, corrosiva di sempre, Le peggiori paure è una feroce riflessione sulla natura del matrimonio.

Recensione di Antonella:

Ho scelto di leggere questo romanzo perché l’autrice, Fay Weldon, è stata paragonata a Rebecca West, che ho avuto modo di apprezzare per la trilogia “La famiglia Aubrey” (i primi due volumi, soprattutto); ero molto curiosa di scoprire se si trattasse di un accostamento indovinato oppure no, quindi non potevo non verificare personalmente. Prima di dare la mia risposta al quesito, però, vi lascio scoprire la mia opinione di questo romanzo.
Lo stile della Weldon salta all’occhio subito, nel suo modo di essere molto particolare: pulito e gradevole, mantiene un buon ritmo e la narrazione procede a piccoli scatti, fornendo molte informazioni in poche righe, ma senza annoiare né perdersi in lunghe litanie. Insomma, l’autrice è efficace, breve e intensa. Mi piace già dalle prime pagine.
Mi sono sentita subito catturata dalla vicenda, i sentimenti che ho provato sono stati molto intensi per tutta la lettura. Ho provato compassione, antipatia e aspettativa già dopo poche righe, per cui dopo venti pagine sapevo che non era possibile non arrivare in fondo. Si tratta di un romanzo avvolgente, capace di condurre il lettore nei meandri della narrazione, invischiandolo suo malgrado e impedendogli di fare marcia indietro. Insomma, si ha l’impressione che il libro sia vivo, che abbia una propria volontà alla quale si deve necessariamente sottostare.

La trama procede in un crescendo di situazioni dapprima normali, che poi si spingono sempre più oltre, fino a raggiungere il limite della follia. L’autrice ha costruito un’impalcatura narrativa accattivante e ben studiata, per cui la tensione cresce lentamente, ma in maniera inesorabile; ogni volta si pensa “non può saltare fuori un altro dettaglio capace di sconvolgermi o destabilizzarmi”, e invece si scopre che può accadere, eccome! Il pathos narrativo è sempre alto, a un certo punto mi ha fatto letteralmente saltare i nervi. E continuavo a pensare “ci dev’essere dell’altro, non può essere davvero così e basta!”. La vicenda è senza dubbio intricata e sembra non fare altro che ingarbugliarsi ancora di più. Indizi e soluzioni vengono svelati poco per volta, in un crescendo di consapevolezza che lascia senza fiato. Si finisce per trovarsi schierati dalla parte di Alexandra, la protagonista, increduli di fronte alla piega che sta prendendo la sua situazione. Il lettore viene trascinato suo malgrado in una specie di delirio: tutto crolla, tutte le certezze, tutto ciò in cui Alexandra credeva. È talmente plateale da risultare incredibile, quasi grottesco. Addirittura ridicolo, come fosse una commedia di quart’ordine. Ma c’è stile, sempre e comunque: l’autrice non ha lasciato nulla al caso. Si produce in un crescendo guizzante, capace di lasciare il lettore a bocca aperta. Un ritmo narrativo notevole, mai un inceppamento, mai un’esitazione: scorre deciso e ineluttabile, con qualche attimo di poesia che ammorbidisce gli eventi lasciando a chi legge una parentesi di respiro.

I personaggi sono forti, molto ben definiti, assolutamente veraci. Tutti, nessuno escluso, presentano lati oscuri, debolezze, segreti, e questo fa sì che, tutto sommato, ci si trovi a osservare la vicenda mantenendo le distanze da tutti loro, come a non voler restare invischiati più del necessario. Ho trovato molto interessante il modo in cui l’autrice ha costruito ciascuno di essi, riuscendo a rendere alcuni addirittura insopportabili, ma rendendoli tutti apprezzabili per la precisione con la quale ne vengono messe in luce le peculiarità. Niente descrizioni infinite, niente liste di aggettivi: ciascun personaggio emerge tramite ciò che fa, ciò che pensa e, non di rado, ciò che ha fatto nel passato. Alcuni saranno riscattati, in qualche modo, altri si confermeranno odiosi o inutili. Ci vuole maestria anche in questo: far ammettere al lettore di aver odiato un personaggio, ma di non aver potuto fare a meno di apprezzarne la definizione.

Non posso dire di aver riscontrato pecche in questo romanzo. L’unico aspetto che mi ha lasciata un po’ perplessa è quella patina surreale che sembra permeare ogni cosa, tanto da far ipotizzare che si stia leggendo la narrazione di un lungo sogno, un incubo, alla fine del quale Alexandra si risveglierà nel suo letto, accanto al marito, ancora vivo e vegeto. Confesso di averlo pensato, a tratti: troppo incredibile per essere vero. Eppure…

Credo sia doveroso, da parte mia, rispondere adesso al quesito iniziale: esiste un accostamento possibile tra Fay Weldon e Rebecca West? La risposta è sì, ma con riserva. In comune, le due scrittrici hanno l’abilità nel costruire trame che percorrono vie tortuose, imprevedibili, talvolta al limite della credibilità. Entrambe sanno caratterizzare i propri personaggi con maestria, attraverso le azioni piuttosto che nella loro descrizione. Sono capaci di slanci poetici, permeati di una sottile vena filosofica. La West, però, è un po’ più prolissa, dedita alla definizione delle ambientazioni, morbida; la Weldon è più diretta, a volte cruda, arriva al punto senza troppi giri di parole. Accostabili quindi, questo sì, a patto di tenere sempre ben presente il fatto che si muovono in epoche diverse e lanciano messaggi diversi, salvo uno: l’essere umano può essere tanto infimo quanto capace di rendersi insostituibile.



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