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Recensione: Ambrose, di Fabio Carta

Titolo: Ambrose
Autore: Fabio Carta
Editore: Scatole Parlanti
Pagine: 212
Prezzo: 15,00 € (solo cartaceo)

Voto: 3/5

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Questo ebook ci è stato gentilmente offerto dall'autore in cambio di una recensione onesta.

Quarta di copertina: 

Controllore Ausiliario – CA – è uno dei pionieri ad aver sposato la causa della missione Nexus, la frontiera virtuale dove scrivere un nuovo e pacifico capitolo della storia umana. Ma durante la preparazione terapeutica, il suo corpo rimane vittima di danni irreparabili. Logorato dalle metastasi, è costretto a vivere in una speciale tuta eterodiretta da pazzi esaltati, che combattono una guerra in bilico tra realtà e spettacolo. Il suo destino è la morte, mentre un suo gemello elettronico continuerà a simulare la sua esistenza nel ciberspazio.
L’infelicità di CA – figlio delle stelle, alieno agli usi terrestri – subisce uno stravolgimento con la comparsa di Ambrose. Un’entità che si presenta come una rosa stillante ambra, una irriverente voce che lo guida verso sviluppi imprevedibili. Come ribellarsi al proprio destino e scoprire cosa si cela realmente dietro i grandi cambiamenti ai quali l’umanità dovrà far fronte.

Recensione di Ariendil:

Ambrose di Fabio Carta non è un romanzo facile. Non è facile da inquadrare, non è facile da giudicare e non è facile neanche da leggere.
Come si capisce dalla quarta di copertina, stiamo parlando di fantascienza. Possiamo riconoscerci un po’ di cyberpunk, possiamo trovarci un accenno distopico, ma è innegabilmente fantascienza. Una fantascienza che vuole però dimostrare di poter essere molto più di azione e congegni tecnologici, armi futuristiche e mondi virtuali. Intendiamoci, tutti questi elementi sono ben presenti in Ambrose, che però sembra voler accendere i riflettori sull’uomo, più che sulle creazioni dell’uomo. Una fantascienza introspettiva, profonda, che invita alla riflessione. In parte sono riflessioni a cui il lettore sci-fi è abituato (“dove sta andando l’umanità?”, “in cosa stiamo trasformando il nostro mondo?”, “quanto perdiamo in termini di empatia quando consideriamo il prossimo solo un’identità virtuale, scordandoci della persona dietro l’avatar?”: sono tutte domande che la fantascienza si pone e ci pone da sempre), ma in Ambrose se ne aggiungono di nuove, si toccano temi troppo spesso erroneamente lasciati alla sola narrativa non di genere, come se non fossero abbastanza di intrattenimento per il fantastico. Fabio Carta ci dimostra che non è così, che la fantascienza (e il fantasy e l’horror e qualunque altro genere) può affrontare qualunque tema e veicolare qualunque tipo di messaggio.
In Ambrose lo fa dando voce a un tumore.
Vero e proprio protagonista assieme a CA, nel cui corpo è cresciuto e che sta lentamente uccidendo, Ambrose conversa col proprio ospite come fossero due identità distinte. Fratelli. Gemelli.
In vero, CA ha già un’altra identità gemella: il suo avatar. Solo come avatar può avere infatti una vita sociale e dei rapporti affettivi, perché il suo corpo devastato dal cancro fa da sostanza a un’esotuta militare impegnata nella Terza Guerra Mondiale. Più spesso di lui, a comandare la tuta sono però dei piloti a distanza, che vivono le atrocità della guerra come se si trattasse di un videogame dal quale possono scollegarsi in qualunque momento (come effettivamente fanno) e come se, proprio come in un videogame, le loro vittime fossero semplici personaggi virtuali (cosa che non sono, trattandosi della popolazione locale). La mano che uccide quelle persone, benché teleguidata a distanza da altri, che si pavoneggiano delle loro azioni belliche nella rete social virtuale, è tuttavia quella di CA, che si ritrova quindi a non avere più controllo né della sua parte emotiva/sociale, relegata nell’avatar, né della sua parte fisica, controllata come una marionetta.
È Ambrose a metterlo finalmente di fronte all’assurdità della sua esistenza, come peraltro del mondo finto e disumano nel quale vive. Ambrose, ciò che lo sta uccidendo. Suo fratello. Una parte di sé.
Con un’idea come questa alla base e un tema tanto affascinante, cosa mi ha reso allora così difficoltosa la lettura di questo libro?
La risposta è a un tempo semplice e complessa: come è scritto.
Semplice e complessa perché non si può certo dire che Ambrose sia scritto male o che Fabio Carta non abbia una padronanza linguistica più che adeguata. Al contrario, la scrittura è formalmente ineccepibile, ricca, dal linguaggio forbito e con una terminologia ricercata, spesso anche tecnica, ma mai usata a sproposito.
Tuttavia, forse proprio per questo, la narrazione ne risulta appesantita, andando a fagocitare con frasi lunghe e costrutti dalle molteplici subordinazioni anche le parti più veloci e d’azione. Il risultato, a mio giudizio, è un ritmo molto lento e monotono che finisce per sfociare nella noia. Una noia di forma, non di contenuti.
Come dicevo, un libro difficile da giudicare perché fortemente condizionato dal gusto personale del lettore, che può apprezzarne o meno lo stile di scrittura.

Un libro però che può meritare una lettura per l’originalità dell’idea, per i temi che affronta e per il coraggio di affrontarli in un genere come la fantascienza, sempre ammesso che non veniate sommersi come me da una piena di parole. 



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