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Recensione: Una storia straordinaria, di Diego Galdino

Titolo: Una storia straordinaria
Autore: Diego Galdino
Editore: Leggereditore
Pagine: 208
Prezzo: 4,99 € (ebook), 9,90 € (cartaceo)

Voto: 2/5

Puoi acquistarlo QUI nel formato ebook e QUI in quello cartaceo.

Questo ebook ci è stato gentilmente offerto dall'autore in cambio di una recensione onesta.

Quarta di copertina: 

Luca e Silvia sono due ragazzi come tanti che vivono vite normali, apparentemente distanti. Eppure ogni giorno si sfiorano, si ascoltano, si vedono. I sensi percepiscono la presenza dell'altro senza riconoscersi. Fino a quando qualcosa interrompe il flusso costante della vita: Luca perde la vista e Silvia viene aggredita in un parcheggio. La loro vita, sconvolta, li porta a chiudersi in un'altra realtà e il destino sembra dimenticarsi di loro. Eppure, due anni dopo la loro grande passione, il cinema, li fa conoscere per la prima volta e Luca e Silvia finiscono seduti uno accanto all'altra alla prima di un film d'amore. I due protagonisti, feriti dalle vicissitudini degli eventi passati, si ritrovano, così, loro malgrado, a vivere una storia fuori dall'ordinario. Ma l'amore può essere tanto potente da superare i confini dei nostri limiti e delle nostre paure? E il destino, quando trova due anime gemelle, riesce a farci rialzare e camminare insieme?

Recensione di Antonella:

Ho iniziato questa lettura intrigata dalla trama e dall’aspettativa di concedermi un romanzo ricco di belle emozioni, un aspetto che sta guidando molto le mie scelte librarie in questi ultimi mesi.
I capitoli iniziali parevano venirmi incontro piuttosto bene: ognuno era incentrato su uno dei cinque sensi e proponeva una situazione in cui i due protagonisti del libro finivano per incrociarsi, senza rendersene conto. Mi è molto piaciuto questo stratagemma letterario, creava la giusta dose di partecipazione e mi invogliava a proseguire per capire come sarebbe avvenuto l’incontro, alla fine.

Mi sono scontrata quasi subito, però, con alcune pecche a livello di editing. Cominciavo a inciampare sempre più spesso in refusi più o meno gravi, che inizialmente potevo scusare perché si sa, è molto difficile trovare un testo che rimanga perfettamente pulito. Alla lunga, però, ho iniziato a stancarmi. Quando ho letto questa frase ho deciso che la misura era colma:
“Lui e suo fratello se l’avevano dovuto inventare.”
Non credo servano commenti.

L’uso di un registro colloquiale può anche essere funzionale alla narrazione, se usato all’eccesso però mi disturba non poco. Vanno bene le espressioni in romanesco, considerata l’ambientazione a Roma e il ruolo importante che la città ricopre nel romanzo, ma non riesco a soprassedere, ad esempio, sull’uso continuo della parola “tipo”, abusata anche nel parlato, che risulta insostenibile in un romanzo. Ho trovato diversi errori derivanti da un uso improprio della lingua italiana: “finita la cena il nuovo gruppo di amici restò qualche minuto fuori ALLA pizzeria”, per citarne uno, è un errore macroscopico, incredibile che sia potuto sfuggire.
Altre frasi proprio non si possono leggere:
“O forse era lui che adesso che era non vedente, sì insomma, non adesso, ormai era da un bel po’, comunque che adesso riusciva a capire dal suono dei passi chi fossero le persone che camminavano vicino a lui.”

Nel complesso la scrittura mi è parsa ingenua, a tratti avevo la netta impressione di stare leggendo la prima opera di uno scrittore emergente editata in maniera troppo superficiale (se editing c’è stato). La punteggiatura rappresenta un’altra nota dolente, soprattutto in frasi come questa:
“Silvia con la coda dell’occhio, si accorse che il ragazzo, con fare indifferente continuava a guardarla.”

Anche per quanto riguarda il punto di vista narrativo, non è ravvisabile una cura sufficiente a non spaesare il lettore. Le vicende sono narrate dal punto di vista di Luca e di Silvia, ma la distinzione tra i due non è sempre chiara e capita che si creino delle stonature. Alcune volte si passa addirittura dalla terza alla prima persona, come in questo caso:
 “Perché la Silvia reale si era accorta di essere arrivata alla sua fermata e che per lei era giunto il momento di scendere dalla metro. Da bambina passavo le estati a casa di mia nonna in Bulgaria.”

Intendiamoci, le buone idee e le intenzioni giuste in questo romanzo ci sono, talvolta sono anche belle. Ci sono frasi molto poetiche e ben riuscite, che appagano i sensi, ma sono troppe quelle che invece sanno di cliché trito e ritrito. A farla breve, ci sono un po’ troppe espressioni e situazioni già viste e lette decine di volte, col risultato che, a partire dall’inizio della storia d’amore di Luca e Silvia, si cade in uno stile davvero troppo melenso, che non è più romantico, ma sdolcinato. Questo momento segna una svolta: fino a lì il romanzo scorre discretamente bene, poi diventa davvero pesante, anche perché non accade più nulla di rilevante fin quasi alla fine. Altrimenti detto, il 70 percento del libro racconta la relazione dei due protagonisti e le loro passeggiate per Roma. A me non basta, voglio di più. Anche la descrizione della città, pur filtrata attraverso l’esperienza dei personaggi, risulta eccessiva: a tratti mi sembrava di leggere una guida turistica romanzata. Non è proprio il massimo per un lettore che, come me, non ama le descrizioni.

A tal proposito, troppe informazioni utili alla vicenda vengono spiegate e raccontate, anziché emergere piano piano attraverso i personaggi. Questo rende la lettura pesante e meno coinvolgente, tanto che mi è capitato a volte di chiedermi “e questo cosa c’entra, adesso?”. 

Val la pena spendere qualche parola sulla costruzione della trama. Come dicevo all’inizio, le premesse erano buone, la storia sembrava intrigante quanto basta per essere letta. Ho iniziato la lettura dei primi capitoli: buoni, un po’ acerbi, qualche refuso, ma sono andata avanti perché m’interessava seguire la vicenda. A un certo punto, la narrazione ha fatto un balzo in avanti e, senza ben capire che cosa sia successo, mi sono ritrovata a leggere che Luca era diventato cieco e Silvia stava affrontando il trauma di un’aggressione subita un anno prima. Così, di punto in bianco. Ho dovuto fare uno sforzo per capire che Luca era diventato non vedente, e per un pezzo ho continuato a chiedermi “com’è potuto succedere? Poche righe fa andava tutto bene!”. Mi sono state fornite moltissime informazioni in poche pagine, per recuperare quanto avvenuto in un anno e chiarire la situazione presente. In sintesi, sono rimasta sopraffatta e infastidita.

Altri aspetti nella trama non mi hanno convinta, tra cui il fatto che un uomo al primo appuntamento con la sua donna la stordisca di parole, raccontandole delle sue mancate esperienze sessuali causate dalla sua inettitudine. E poi, quando finalmente fanno sesso, la scena manca di brio, di emozione. La cosa che mi ha infastidita più di tutte è stata il fatto che Luca, all’indomani della sua notte d’amore, sia andato a raccontare a fratello, cognata e amico quanto accaduto. Non una spacconata, di quelle goliardiche, magari tra uomini, no: un racconto entusiasta di chi non vede l’ora di rendere partecipi tutti della sua ritrovata vita sessuale. Surreale!

In conclusione, questa è una lettura ideale per chi ama le storie d’amore fini a se stesse, pure un po’ melense. Non è una lettura che mi sento di consigliare, dato che troppi aspetti non mi hanno convinta. Rimango dell’idea che l’autore abbia delle buone capacità, ma andrebbero supportate da un buon editor.


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