Passa ai contenuti principali

Recensione: Il diritto di opporsi, di Bryan Stevenson

Diamo il benvenuto a Valentina, che da oggi entra a far parte del team di Sil-ently aloud!
Leggete la sua presentazione QUI

Titolo: Il diritto di opporsi
Autore: Bryan Stevenson
Editore: Fazi Editore
Pagine: 446
Prezzo: 7,99 € (ebook), 13,60 (cartaceo)

Voto: 4,5/5

Puoi acquistarlo QUI nel formato ebook e QUI in quello cartaceo.

Questo ebook ci è stato gentilmente offerto da Fazi Editore in cambio di una recensione onesta.

Quarta di copertina: 

Bryan Stevenson era un giovane avvocato da poco laureatosi a Harvard quando decise di trasferirsi a Montgomery, in Alabama, e fondare la Equal Justice Initiative, un'organizzazione senza scopo di lucro impegnata a porre fine all'incarcerazione di massa e alle pene estreme, a sfidare l'ingiustizia razziale ed economica e a proteggere i diritti umani fondamentali delle persone più deboli e vulnerabili. Al resoconto della sua formazione Stevenson intreccia le storie delle persone che ha difeso e che lo hanno condotto in un groviglio di cospirazioni, macchinazioni politiche, inganni legali e razzismo diffuso, modificando profondamente la sua concezione della giustizia. Tra i vari casi spicca quello di Walter McMillian, un afroamericano condannato a morte per l'omicidio di una ragazza bianca, nonostante innumerevoli prove dimostrassero la sua innocenza. "Il diritto di opporsi" è una testimonianza del coraggio, della perseveranza e dell'umanità necessarie a perseguire una giustizia più equa, ma anche una struggente denuncia contro la pena di morte.

Recensione di Valentina:

ATTENZIONE: Può contenere “spoiler”


Questo libro scritto in prima persona è il resoconto del percorso compiuto dall’autore, Bryan Stevenson, da quando era un giovane tirocinante indeciso sul suo futuro fino ad arrivare all’avvocato di successo che, ormai verso la fine della propria carriera, decide di raccontare non tanto la sua vita quanto quella delle persone che ha incontrato e che, per quanto possibile, è riuscito ad aiutare.


Il fil rouge che utilizza l’autore, da una prima lettura potrebbe sembrare la vicenda giuridica di uno dei grandi protagonisti, Walter McMillian, ma sarebbe un errore fermarsi a questa interpretazione in quanto la vera protagonista è la lotta contro le ingiustizie, il coraggio di schierarsi dalla parte di chi sta soccombendo anche quando sembra impossibile, la lotta per il cambiamento. Mi permetto di citare ad esempio le parole di una donna che l’avvocato Stevenson incontra dopo un processo fuori dalla prigione di Angola:


“Ho deciso quindi che dovevo essere qui per afferrare alcune delle pietre che le persone si lanciano le une contro le altre”.


Nel 1986 viene trovata morta, sul pavimento di una lavanderia nella cittadina di Monroeville in Alabama, Ronda Morrison, uccisa con tre colpi di pistola alla schiena. Di questo omicidio viene accusato McMillian, ma l’unico indizio contro di lui è il colore della sua pelle. 

E, forse, fu proprio questo a costituire una prova sufficiente”.


Tutto inizia da qui, dal colore della pelle, dai pregiudizi, dalla povertà. Non dalla colpevolezza o dall’innocenza. Tutto inizia da un pregiudizio, proprio nello stesso stato, nella stessa città dove è ambientato “il Buio oltre la siepe”, dove i funzionari pubblici (come racconta Stevenson) sono orgogliosi di mostrare agli avventori i luoghi narrati nel romanzo ma allo stesso tempo non si rendono conto di impersonare loro stessi la paura che genera il pregiudizio da cui scaturisce l’ingiustizia.

Walter McMillian viene giudicato colpevole e condannato a morte per un reato che non ha commesso. E, come lui, nelle prigioni americane sono ancora oggi detenuti moltissimi innocenti.

Tanti sono i condannati incontrati da Bryan, tanti sono gli innocenti che è stato in grado, attraverso la sua organizzazione, ad aiutare ma tanti sono anche quelli che non è riuscito a salvare. Tanti sono i bambini giudicati come adulti e condannati a morte per reati minori. Tante sono le persone con disabilità mentali che sono state processate.

In questo clima di rassegnazione e di abbandono che domina i penitenziari americani, per molte di queste persone, se non per tutte, l’avvocato Bryan Stevenson ha rappresentato una speranza, forse l’unica.


Bryan Stevenson sarebbe potuto diventare un difensore come tanti altri, anzi, nel corso della sua carriera studentesca ha rischiato di non essere un avvocato, per fortuna non è stato così. È stato grazie al suo tirocinio, al suo primo incontro con un detenuto nel braccio della morte che la sua vita, e quella di molte altre persone, è cambiata. Quel primo colloquio ha colpito profondamente il giovane avvocato e ha innescato dentro di lui quella serie di eventi che lo hanno portato a fondare la Equal Justice Initiative permettendogli così di salvare centinaia di innocenti. Grazie a quel primo incontro con Henry negli anni Ottanta, era questo il nome del detenuto condannato a morte, tutto è stato possibile.


La struttura dell’opera, per quando sembri seguire un ordine cronologico degli eventi, non risulta essere ben organizzata e il lettore rischia di perdersi tra una causa e l’altra visto che, a fianco della vicenda di Walter vengono raccontate anche le storie, e in alcuni casi le vite, di altri assistiti. La asincronia sopra citata non favorisce la fluidità della lettura ma questo aspetto, che può essere identificato come un difetto, viene superato ampiamente dalla forza intrinseca delle storie stesse, la realtà, la veridicità, il dolore che riesce a trasmettere fa dimenticare le piccole pecche strutturali. In fondo, chi scrive è principalmente un avvocato e lo fa per dare voce a chi non ne ha mai avuta per quasi tutta la sua vita, il suo scopo è quello di rendere pubbliche le difficoltà, i pregiudizi, le discriminazioni che ancora oggi sono presenti nel nostro mondo. Lo fa per denunciare e per informare, lo fa per dirci che la vita è preziosa, ogni vita è preziosa e non dovremmo essere discriminati o condannati solo per il colore della nostra pelle o per la nostra estrazione sociale.


L’autore ci lascia dopo questa catarsi con una riflessione personale, con una domanda su cui ognuno di noi dovrebbe fermarsi a riflettere: “La questione vera riguardo alla pena capitale in questo paese è: noi meritiamo di uccidere?”



Bryan Stevenson è un avvocato che ha trascorso la sua vita ad afferrare le pietre.



Commenti