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Recensione: Americanah, di Chimamanda Ngozi Adichie

Titolo: Americanah
Autore: Chimamanda Ngozi Adichie
Editore: Einaudi
Pagine: 512
Prezzo:

Voto: 4,5/5

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Quarta di copertina: 

Ifemelu ha una borsa di studio a Princeton ed è l'autrice di «Razzabuglio», un blog di largo seguito che denuncia con pungente leggerezza i pregiudizi ancora diffusi negli Stati Uniti. Ne ha fatta di strada da quando, tredici anni prima, appena arrivata dalla Nigeria, faticava a pagare l'affitto e si sforzava di adeguare accento e aspetto agli standard americani. Eppure c'è qualcosa che Ifemelu non riesce a dimenticare. In fondo al cassetto della memoria conserva ancora il ricordo di Obinze, il ragazzo voluto fin dal primo istante e poi lasciato senza una spiegazione, con un taglio netto frutto della vergogna. Tornare indietro nel tempo è impossibile, ma non nello spazio. Contro il buon senso e il parere di tutti, Ifemelu sale su un aereo per Lagos intenzionata a riprendere il filo di una storia interrotta.


Recensione di Ariendil:

La mia storia con questo libro è stata lenta e graduale, fin dall’inizio. Ci ho messo molto a decidermi di leggerlo e forse anche a convincermi che poteva interessarmi leggerlo. Girava per casa, il mio occhio si posava sulla (bella) copertina, sul nome dell’autrice, su questo titolo così semplice e così strano. Leggevo la quarta, la rileggevo, e ogni volta mi sentivo attrarre e respingere. Sapevo perché: questo romanzo non è solo la storia di un qualche personaggio, inventato o reale che sia, è uno di quei libri che usano quel personaggio per accendere la luce in quegli angoli di vite che sono sempre un po’ al buio per chi quelle vite non le vive, nonostante la presunzione di saperne abbastanza. Non sempre si ha voglia di guardare in quegli angoli. Non perché, una volta illuminati, debbano rivelarsi necessariamente terribili, ma perché a volte va bene così, va bene continuare con la presunzione di saperne abbastanza. Altre volte invece no.
Anche la lettura di questo libro, così come il mio apprezzamento, sono stati lenti e graduali. Diciamolo, la partenza è di quelle che mi farebbero riposare il volume sullo scaffale prima di girare la prima pagina. La scena che dovrebbe catturare l’attenzione del lettore, quell’incipit mordente e accattivante che deve convincerlo a proseguire per le restanti cinquecento pagine, promettendogli che saranno tutte all’altezza delle aspettative, ecco, è una che si fa le treccine. Ora, ammetto che un salone di bellezza non è propriamente il mio posto preferito e che le treccine non sono l’acconciatura dei miei sogni, ma il punto non è né l’ambientazione in sé né quello che fa la povera parrucchiera: il problema è che il motore che deve dare l’avvio alla storia non parte. O meglio, ci mette un po’ a partire. Perché è vero che il primo capitolo sembra fatto a posta per selezionare un lettore modello, paziente e tenace, forse adatto a quella storia (e chissà, magari è anche così), ma è anche vero che quando la macchina del racconto si accende va che è una bellezza. 
E allora eccolo il vero Americanah che, sì, ha anche a che fare con quel salone di bellezza e quelle treccine, che riviste alla luce della totalità della storia, ci stanno a pennello perché rappresentano bene l’immagine di Ifemelu, della sua Nigeria ma anche della sua America, quella dei Neri Non Americani e dei Neri Americani, e, a fare da specchio a essa, quella dei Bianchi Americani (e non solo). È questo il cuore del libro e non è un caso se Ifemelu apre un blog intitolato Razzabuglio, dove racconta le sue esperienze di Nera, dove spiega le differenze tra i Neri Non Americani e i Neri Americani, e tra i Neri e gli ispanici, gli italiani, gli esteuropei, gli asiatici. Perché in America (e non solo) il problema della razza c’è, ed è proprio chi si ostina a dire che non c’è il motivo per cui c’è e continuerà ad esserci. Non c’è il problema della razza per il bianco così come non c’è il problema dell’omofobia per l’eterosessuale che non viene pestato per un bacio al partner. Questa è la tematica principale di Razzabuglio, che accompagna i capitoli dedicati a Ifemelu dopo che la ragazza lascia la Nigeria ed emigra in America. 
Le parti di libro con lei come protagonista si alternano con quelle che hanno per protagonista Obinze, amore di gioventù di Ifemelu in Nigeria, anche lui in cerca di futuro fuori dall’Africa. Obinze, personaggio che narrativamente contrasta e completa Ifemelu, ha nel cuore il sogno americano fin dall’infanzia, ma per lui non c’è modo di ottenere il visto per gli USA e ripiega così in Inghilterra. Le esperienze di Ifemelu in America e Obinze a Londra saranno simili eppure molto diverse: entrambi migranti che oggi verrebbero definiti economici, entrambi disposti ad arrangiarsi con i lavori che trovano per potersi mantenere all’estero e mandare i soldi a casa, entrambi alle prese con vecchie amicizie e nuove conoscenze, entrambi con lo sguardo indeciso tra il volgersi indietro verso casa e il guardare avanti verso il futuro. A distanza di anni e per ragioni diverse decideranno tutti e due, indipendentemente l’uno dall’altra, di tornare a Lagos, dove forse il destino potrebbe dare al loro amore una seconda occasione.

Per me Americanah è stato un romanzo da scoprire, da conoscere senza fretta, con i tempi e con le pause di cui avevo bisogno. È stato un romanzo che alla fine ho amato, ma che non posso dire di aver capito fino in fondo, e non per via dell’intreccio narrativo (piuttosto semplice) o per i personaggi (decisamente ben realizzati), ma perché sono una Bianca Italiana che non sa cosa voglia dire essere una Nera Non Americana. 


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