Titolo: Una lunga
bara nera
Autore: Tim Curran
Editore: Dunwich Edizioni
Pagine: 328
Prezzo: 4,99 € (ebook) e 14,90 € (cartaceo)
Voto: 4/5
Trama (dalla quarta di copertina):
La Bara è una GTO del ‘67. Come una tomba aperta, è affamata di morte. Vic
Tamberlyn vi si è suicidato dentro. Suo figlio Kurt vi è morto asfissiato.
Forse non c'è nessuna connessione, ma il migliore amico di Kurt, Johnny Breede,
non ne è convinto. Comincia a notare degli oscuri segnali, sicuro che sotto la
pelle della Bara batta un cuore nero e terribile. Ma è persino peggio di quanto
possa immaginare. Perché la Bara ha una storia. E quella storia condurrà Johnny
in una ragnatela di omicidi, follia e perversioni sessuali. Verrà a conoscenza
di orribili segreti di famiglia che collegano una serie di bambini scomparsi a
un male primordiale che vive nell’auto sotto forma di una sadica ragazza
adolescente. Una ragazza la cui madre era umana, ma il cui padre era
tutt’altro…
Recensione:
La lettura di un qualunque romanzo horror che abbia come elemento cardine
un’automobile posseduta non può non iniziare all’ombra dell’ingombrante
confronto con Christine di Stephen King. Impresa ardua per chiunque, anche per
uno scrittore che sa scrivere horror come Tim Curran. Per fortuna, ed è bene
dirlo fin dall’inizio, è un confronto che non si è mai costretti a fare
davvero, vuoi per differenze di scrittura, vuoi per differenze di atmosfere e
trama. Quest’ultima non ha fretta di rivelarsi: l’autore si prende tutto il
tempo necessario per mostrare l’ambientazione nella cittadina di Lynnstown ai
margini della Sagwa Wood, per introdurre i personaggi e il protagonista Johnny
Breede, e per tracciare i primi sentieri narrativi. Per una buona metà del
romanzo si snodano prevalentemente in orizzontale, ampliando il contesto
narrativo e abbracciando tutto il mondo di Johnny. È un mondo terribile, fatto
di vecchie storie che tornano e bambini che invece non lo faranno mai più,
adescati da quell’uomo nero che è l’incubo di tutti i bambini del mondo. Qui
l’incubo diventa reale, segna l’infanzia di Johnny e di tutta Lynnstown, lascia
dietro di sé misteri mai risolti e si riaffaccia dopo anni, quando Johnny è
ormai uomo e rimane coinvolto nelle vicende oscure della famiglia del suo
migliore amico, i Tamerlyn.
Nel loro garage c’è la Bara, la vecchia GTO del padrone di casa, che non usa
più nessuno da quando lui si è suicidato sparandosi in bocca seduto al suo
interno.
È attorno alla macchina che si concentra per buona parte del romanzo la
tensione narrativa e l’attenzione del lettore. C’è qualcosa in quell’auto,
qualcosa di malvagio, qualcosa che attira le forze del male e fa succedere cose
terribili. Non si capisce cosa, anche se tutto lascia pensare a una
possessione, ma è tenendo sott’occhio quell’auto che si procede nella lettura.
A questo punto la trama smette di prendere diramazioni laterali per puntare
dritto in verticale in quello che diventerà l’incubo di Johnny. E anche del
lettore, perché Tim Curran sa il fatto suo: disgusta quando vuole disgustare,
fa inorridire quando vuole far inorridire, fa tremare quando vuole far tremare.
A volte però eccede. Rimanere sulla sola possessione dell’auto rischiava in
effetti di essere piuttosto banale e appare quindi giusta la scelta di
aggiungere qualcosa in più per dare maggior spessore all’aspetto orrorifico del
libro. Il dosaggio non è stato tuttavia ottimale, con il risultato di aver
infilato nella storia fin troppi elementi horror: un’automobile malvagia,
possessioni, fantasmi, streghe della foresta, rapimenti di bambini, sadismo,
masochismo, perversioni sessuali, forze maligne primordiali. Con tutti questi
ingredienti spesso viene fuori un minestrone. Curran è abile a farne un’ottima
zuppa, anche se la lunga bara nera del titolo si perde un po’ in mezzo a tutti
gli altri sapori.
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