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Odio e furia - Racconto

Posto qui un mio racconto con cui ho vinto a un laboratorio di scrittura proprio un anno fa. Come passa il tempo! Bisognava scrivere di freddi assassini, la presenza del cattivo, quindi, era obbligatoria. Io ho cercato di confondere un po' le parti. Il racconto è stato editato dagli amici di È scrivere - Community per scrittori e pubblicato anche sul blog. 
Spero vi piaccia, buona lettura! 




Odio e furia

 
La prima…
 
La mano scese feroce su di lui. Il pugno stretto intorno al manico del coltello, la lama affilata da poco, gli occhi spalancati, il sorriso freddo. Uno squarcio si aprì nel ventre dell’uomo che giaceva sul pavimento.

… nello stomaco, per tutte le volte che mi hai picchiato, per quei colpi forti che mi facevano vomitare l’anima, bruciandomi la gola.
Ti odio!

Inerte, ma capace di intendere e di volere, vittima della stessa sostanza che aveva usato tante volte su di lei. Irene aveva programmato tutto. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Come un’assassina senza anima, senza cuore. E lo era. Sollevò di nuovo il braccio, la lama del coltello da cucina ora insanguinata e gocciolante.

La seconda…

Con uno scatto la fece ricadere su di lui, senza pietà.

… nelle viscere, per tutte le volte che me le hai fatte attorcigliare, rinchiudendomi in questa stanza lurida e stretta, abbandonata al terrore del tuo ritorno, alle cose che mi avresti di nuovo fatto.
Ti odio, bastardo!

Si sentiva più leggera. Il primo colpo le era pesato sulla coscienza. Per un istante. Quando aveva sentito la carne cedere sotto la lama, un senso di leggerezza si era fatto pian piano strada dentro di lei. Non riusciva a smettere di sorridere. E ora, alla seconda coltellata, quel senso di sollievo si era trasformato in euforia. Lo stava facendo davvero! Vedere il sangue del suo aguzzino colare sul pavimento e bagnarle le ginocchia era una più che degna ricompensa. Ne volle di più.

 La terza…

Quando fu trafitto per l’ennesima volta, quella sottospecie di uomo emise un suono gutturale, ma non poteva muoversi, il che rendeva la scena ancora più esaltante. Stava per affogare nel suo stesso sangue. Irene si sentì ridere. E più ascoltava la sua risata rimbombare nella stanza, più aveva voglia di continuare a farlo.

… nei polmoni, per ogni volta che mi hai tolto il respiro, mi hai quasi soffocato con un cuscino o mi hai riempito di droghe e imbavagliato. Per ogni volta che mi hai tagliato le ali, ogni maledetto giorno di prigionia, ogni sogno di libertà frantumato, ogni tentativo di evasione spezzato e ripagato con il sangue.
Devi morire, stronzo!
Ti odio, ti odio!

Sollevò il braccio e lo guardò in faccia. Gli occhi erano sbarrati, il terrore impresso per sempre nel suo sguardo. Oh sì, era quello che si meritava. E lei era una giustiziera. No, era come lui. Senza scrupoli. Questo pensiero la fece infuriare di più. Era colpa sua se non le era rimasto più niente di umano. Era colpa sua se si comportava peggio delle bestie. Loro no, non uccidevano per vendetta, né per odio. Lui l’aveva trasformata in un demonio. Sentì il suo corpo fremere. Un brivido che dal ventre le si diffuse ovunque fino a soffermarsi nelle mani. Guardò la lama e il sangue che la macchiava. Era come oro, brillava prezioso ai riflessi dell’unica lampadina che illuminava quel buco in cui era stata intrappolata da anni. Il sangue era tutto ciò che desiderava.

La quarta…

Incurvò le labbra in un ghigno. Guardò l’uomo sotto di lei, poi di nuovo la propria mano. La seguì con lo sguardo mentre gli attraversava il petto, piena d’ira.

… nel cuore. Perché hai strappato il mio, lo hai divorato ogni volta che spingevi dentro di me, ogni volta che mi rubavi un pezzo d’anima. E poi lo hai risputato, e i frammenti rimasti altro non erano che pietra pronta a sbriciolarsi fra le mie dita, non appena cercavo di ritrovare qualcosa di umano dentro di me. Niente, non mi hai lasciato niente. Di me non resta che quest’involucro di carne e ossa, ecco cosa sono.
Crepa, crepa, crepa!

Aveva ricolmato quel vuoto con odio e furia. Di altro non aveva bisogno.
Impugnò il coltello con entrambe le mani. Lo guardò un’ultima volta in faccia. Un urlo le salì dal ventre ed esplose in quel buco da cui fra poco sarebbe scappata.
Alzò le braccia sopra il capo. Inspirò.
“Crepa!” gridò con tutta se stessa.

La quinta
la sesta
la settima…

e l’ottava, la nona, la decima…

Ancora una volta alzò le braccia sopra di sé.
“Crepa, crepa, crepa!”

 E ancora, ancora, ancora, ancora, ancora, ancora…

Esausta, si lasciò cadere da un lato. Abbandonò il coltello e sollevò una mano. Gli prese il mento con forza e lo fece voltare verso di lei.
“Ti è piaciuto, stronzetto, eh?” Gli sputò in faccia, poi si rimise supina. Si sistemò la sottana, una volta bianca, ora di un rosso scarlatto, e allargò poi le braccia sul pavimento. Aveva agito come un demonio in preda alla sua furia, pensò di nuovo. Sorrise.
Era libera.

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