Recensione di Annemarie De Carlo
Autore: Hans H. Hirshi
Editore: Beaten Track Publishing
Pagine: 183
Prezzo: 1,08 $
Voto: 1/5
Trama (in inglese, da Goodreads): Abandoned to freeze to
death in a winter forest by his father because of his homosexuality,
Jonathan desperately struggles to survive, until he accidentally
stumbles upon Dan, who owns a cabin in the woods.
Dan has been fighting his own demons since the death of his lover Sean. Having retreated from big city life, he is content to live in solitude, but he never counted on meeting Jonathan.
Given the dire circumstances, Dan must set his own needs aside to help Jonathan reclaim his life, but he soon finds that the ghosts of both their pasts won’t die so easily.
Dan has been fighting his own demons since the death of his lover Sean. Having retreated from big city life, he is content to live in solitude, but he never counted on meeting Jonathan.
Given the dire circumstances, Dan must set his own needs aside to help Jonathan reclaim his life, but he soon finds that the ghosts of both their pasts won’t die so easily.
Attenzione: spoiler!
Recensione:
La ragione per cui un lettore di romance si appassiona ai romanzi Male/Male è, per la maggior parte dei casi, dovuta al fatto che questi ultimi sono intrisi di una drammaticità latente e le tematiche in essi descritte sono spesso molto intense e importanti: razzismo, omofobia, accettazione di sé, bullismo, rifiuto e abbandono da parte della famiglia di origine, violenza domestica a scopo “curativo”, senso di colpa per esser diverso.
Tutti temi trattati in questo romanzo di Hirshi, Jonathan’s Hope.
Dan è un giornalista di successo che ha subito una grave perdita. Sean, il suo amato compagno è morto un anno prima in seguito a un incidente di caccia. Disperato e depresso, Dan ha venduto tutto in città e si è ritirato a vivere come un eremita nella foresta vicino a un lago dove, in un piccolo cottage costruito insieme all’amato, trascorre le sue giornate in pieno isolamento con il cane Rascal.
Jonathan è un ragazzino di 17 anni e mezzo, abbandonato nei boschi dai genitori una volta scoperto che è gay, e che una notte, dopo aver vagato per giorni infreddolito e senza cibo, approda al cottage di Dan a chiedere aiuto al giornalista per non morire assiderato.
Nasce tra loro un rapporto sentimentale che durerà nel tempo.
Ora, un romanzo, qualunque sia il genere, deve avere almeno una caratteristica: essere credibile. Deve insomma riuscire a convincere il lettore quel tanto che basta per permettergli di affidarsi all’autore e di farsi condurre fiducioso per mano. In Jonathan’s Hope questo “click” tra lettore e testo non avviene, non agli inizi e neppure scatta più avanti. E tutto a causa di piccoli particolari che comunque sono assai importanti per l’economia del racconto.
Il secondo protagonista, Jonathan, racconta di esser stato abbandonato nella foresta due settimane prima, alla fine del mese di novembre, di aver vissuto per tutto quel tempo nei boschi e aver dormito nelle caverne e nelle tane abbandonate, di non aver mangiato se non bacche e bevuto neve e acqua ghiacciata dei ruscelli. Inoltre dice di aver iniziato ad aver problemi di assideramento “soltanto due giorni prima”. Immaginiamo un ragazzo adolescente, abituato a vivere in città, sicuramente abituato a escursioni in montagna ma non tali da permettergli un livello di sopravvivenza degno del marine più addestrato, per giunta seminudo, che vive all’addiaccio per due settimane e che cammina circa cinquanta chilometri a piedi (sempre dato del romanzo) prima di arrivare alla capanna dell'altro protagonista. È sicuramente un’esagerazione poco realistica che incrina fin da subito quel rapporto di fiducia tra autore e lettore che, invece, dovrebbe instaurarsi all’inizio della lettura.
Successivamente Jonathan racconta di aver subito ogni sorta di abuso fisico fin dalla tenera età da parte di un padre violento che prima della sua nascita rivolgeva la sua rabbia verso la madre. Tutto questo passa sotto silenzio e omertà di vicini, amici, personale scolastico. Jonathan appare come un giovane timido ma molto dolce, fin troppo sereno e “normale” nella sua gestualità per esser stato sottoposto a violenza per anni.
Quando la migliore amica di Jonathan scopre lividi e cicatrici sul corpo del ragazzo, ne parla con i propri genitori. Eppure, essendo stato messo a conoscenza di una possibile realtà grave, il padre della ragazza non si premura di scoprire con diplomazia e delicatezza se tali violenze siano veritiere, magari consultandosi prima con il ragazzo, ma addirittura denuncia l’omosessualità del giovane al padre senza neppure considerare le possibili conseguenze di quella rivelazione così, oltre tutto, privata. E nessuno dopo si degna di indagare, quando il padre ritorna a casa senza il figlio. Tutti si bevono addirittura la scusa del trasferimento in una struttura correzionale del ragazzo e, quando la madre muore e il figlio non appare al funerale, nessuno si pone domanda alcuna.
Il lettore perde fiducia nella narrazione che, da questo momento, diventa irrealistica e inattendibile. Si finisce così per non provare alcuna empatia con gli avvenimenti successivi.
Il libro è molto lungo, gli avvenimenti si susseguono uno dopo l’altro in un narrare frettoloso: il giornalista depresso e devastato dal dolore alla vista improvvisa di Jonathan ha un immediato risveglio dei sensi, e incurante delle sfortune e della situazione drammatica in cui versa il giovane, ha invece attacchi di lussuria continui nei confronti del ragazzino. Riesce però a tenerli a freno fino al compimento del diciottesimo anno d’età del giovane (il compleanno, guarda caso, cade proprio da lì a qualche giorno: quando si dice poi la coincidenza!) che permette a entrambi di non incappare in situazioni illegali. E subito dopo il raggiungimento dell’età legale, inizia il giovane alle gioie del sesso. Alla faccia della depressione e della devastazione per un amore perduto e immortale.
I due innamorati (perché dopo qualche amplesso si ritrovano improvvisamente pazzi l’uno per l’altro senza soluzione di continuità), ritornano poi in città e, per cause fortuite e improvvise, il più giovane scopre di aver ereditato una somma mostruosa di denaro da parte della madre defunta. Questa, quando era ancora in vita, aveva nascosto il denaro per non farlo cadere nelle grinfie del padre. E il lettore si domanda perché una donna, soggetta a violenze e spettatrice di altrettanti abusi verso il figlio, disponendo di tanti mezzi non abbia lasciato il marito, ma addirittura abbia permesso e successivamente coperto l’abbandono del figlio nella foresta.
Il romanzo continua di questo passo fino al “e vissero tutti felici e contenti” con un epilogo datato circa sessant’anni dopo (nel 2075? Perché nel romanzo si parla di google, facebook, cellulari e quant’altro, quindi la storia si svolge ai giorni nostri) dove si ritrovano Jonathan ormai decrepito con figli e nipoti a seppellire l’urna funeraria dell’amato Dan accanto al precedente compagno Sean.
Una storia scritta molto in fretta, con moltissime imprecisioni e situazioni irreali e poco ponderate che non spiccano, non coinvolgono e non sono credibili. Una prova, purtroppo, non riuscita.
Tutti temi trattati in questo romanzo di Hirshi, Jonathan’s Hope.
Dan è un giornalista di successo che ha subito una grave perdita. Sean, il suo amato compagno è morto un anno prima in seguito a un incidente di caccia. Disperato e depresso, Dan ha venduto tutto in città e si è ritirato a vivere come un eremita nella foresta vicino a un lago dove, in un piccolo cottage costruito insieme all’amato, trascorre le sue giornate in pieno isolamento con il cane Rascal.
Jonathan è un ragazzino di 17 anni e mezzo, abbandonato nei boschi dai genitori una volta scoperto che è gay, e che una notte, dopo aver vagato per giorni infreddolito e senza cibo, approda al cottage di Dan a chiedere aiuto al giornalista per non morire assiderato.
Nasce tra loro un rapporto sentimentale che durerà nel tempo.
Ora, un romanzo, qualunque sia il genere, deve avere almeno una caratteristica: essere credibile. Deve insomma riuscire a convincere il lettore quel tanto che basta per permettergli di affidarsi all’autore e di farsi condurre fiducioso per mano. In Jonathan’s Hope questo “click” tra lettore e testo non avviene, non agli inizi e neppure scatta più avanti. E tutto a causa di piccoli particolari che comunque sono assai importanti per l’economia del racconto.
Il secondo protagonista, Jonathan, racconta di esser stato abbandonato nella foresta due settimane prima, alla fine del mese di novembre, di aver vissuto per tutto quel tempo nei boschi e aver dormito nelle caverne e nelle tane abbandonate, di non aver mangiato se non bacche e bevuto neve e acqua ghiacciata dei ruscelli. Inoltre dice di aver iniziato ad aver problemi di assideramento “soltanto due giorni prima”. Immaginiamo un ragazzo adolescente, abituato a vivere in città, sicuramente abituato a escursioni in montagna ma non tali da permettergli un livello di sopravvivenza degno del marine più addestrato, per giunta seminudo, che vive all’addiaccio per due settimane e che cammina circa cinquanta chilometri a piedi (sempre dato del romanzo) prima di arrivare alla capanna dell'altro protagonista. È sicuramente un’esagerazione poco realistica che incrina fin da subito quel rapporto di fiducia tra autore e lettore che, invece, dovrebbe instaurarsi all’inizio della lettura.
Successivamente Jonathan racconta di aver subito ogni sorta di abuso fisico fin dalla tenera età da parte di un padre violento che prima della sua nascita rivolgeva la sua rabbia verso la madre. Tutto questo passa sotto silenzio e omertà di vicini, amici, personale scolastico. Jonathan appare come un giovane timido ma molto dolce, fin troppo sereno e “normale” nella sua gestualità per esser stato sottoposto a violenza per anni.
Quando la migliore amica di Jonathan scopre lividi e cicatrici sul corpo del ragazzo, ne parla con i propri genitori. Eppure, essendo stato messo a conoscenza di una possibile realtà grave, il padre della ragazza non si premura di scoprire con diplomazia e delicatezza se tali violenze siano veritiere, magari consultandosi prima con il ragazzo, ma addirittura denuncia l’omosessualità del giovane al padre senza neppure considerare le possibili conseguenze di quella rivelazione così, oltre tutto, privata. E nessuno dopo si degna di indagare, quando il padre ritorna a casa senza il figlio. Tutti si bevono addirittura la scusa del trasferimento in una struttura correzionale del ragazzo e, quando la madre muore e il figlio non appare al funerale, nessuno si pone domanda alcuna.
Il lettore perde fiducia nella narrazione che, da questo momento, diventa irrealistica e inattendibile. Si finisce così per non provare alcuna empatia con gli avvenimenti successivi.
Il libro è molto lungo, gli avvenimenti si susseguono uno dopo l’altro in un narrare frettoloso: il giornalista depresso e devastato dal dolore alla vista improvvisa di Jonathan ha un immediato risveglio dei sensi, e incurante delle sfortune e della situazione drammatica in cui versa il giovane, ha invece attacchi di lussuria continui nei confronti del ragazzino. Riesce però a tenerli a freno fino al compimento del diciottesimo anno d’età del giovane (il compleanno, guarda caso, cade proprio da lì a qualche giorno: quando si dice poi la coincidenza!) che permette a entrambi di non incappare in situazioni illegali. E subito dopo il raggiungimento dell’età legale, inizia il giovane alle gioie del sesso. Alla faccia della depressione e della devastazione per un amore perduto e immortale.
I due innamorati (perché dopo qualche amplesso si ritrovano improvvisamente pazzi l’uno per l’altro senza soluzione di continuità), ritornano poi in città e, per cause fortuite e improvvise, il più giovane scopre di aver ereditato una somma mostruosa di denaro da parte della madre defunta. Questa, quando era ancora in vita, aveva nascosto il denaro per non farlo cadere nelle grinfie del padre. E il lettore si domanda perché una donna, soggetta a violenze e spettatrice di altrettanti abusi verso il figlio, disponendo di tanti mezzi non abbia lasciato il marito, ma addirittura abbia permesso e successivamente coperto l’abbandono del figlio nella foresta.
Il romanzo continua di questo passo fino al “e vissero tutti felici e contenti” con un epilogo datato circa sessant’anni dopo (nel 2075? Perché nel romanzo si parla di google, facebook, cellulari e quant’altro, quindi la storia si svolge ai giorni nostri) dove si ritrovano Jonathan ormai decrepito con figli e nipoti a seppellire l’urna funeraria dell’amato Dan accanto al precedente compagno Sean.
Una storia scritta molto in fretta, con moltissime imprecisioni e situazioni irreali e poco ponderate che non spiccano, non coinvolgono e non sono credibili. Una prova, purtroppo, non riuscita.
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