Rieccomi qui, dopo tanto tempo. La mia assenza è stata dovuta a motivi di salute e mi dispiace non aver potuto aggiornare il blog più regolarmente. Mi dispiace anche aver dovuto lasciare in sospeso il resoconto del nostro ultimo e interessantissimo sondaggio, che ha visto nascere una bellissima discussione su Google+ fra chi sosteneva di più il talento e chi la tecnica e altri ancora che hanno lanciato una nuova idea.
Ne è passato di tempo, ma non mi sono dimenticata del vostro prezioso contributo! Quindi ecco qui il risultato del nostro terzo sondaggio.
La domanda era:
Cosa è più importante per la buona stesura di un testo narrativo (racconto o romanzo)?
1. La tecnica
2. Il talento
3. Tutti e due
4. Altro, da specificare nei commenti
Ed ecco lo screen dei risultati ottenuti tramite il vostro voto:
Cliccate sull'immagine per ingrandirla! |
Tecnica: 6%
Talento: 11%
Tutti e due: 75%
Altro: 8%
Dalla tabella sembra ovvio quale opzione sia stata la vostra (e la mia) preferita. E penso che ci sia poco da aggiungere.
Molto interessanti, però, sono stati i commenti ricevuti, che hanno sollevato nuove domande a cui abbiamo tutti cercato di dare una risposta, andando avanti a tentativi, sperando di raggiungere un risultato che potesse soddisfare tutte le persone intervenute.
Il primo a dare il via alla discussione è stato Alessandro, che ha aggiunto un'ulteriore opzione: l'idea.
Il suo contributo ci ha portati a riflettere: ammesso che ci sia l'idea, cos'altro serve?
Se l'idea è buona e, oltre a questa, l'autore possiede sia la tecnica che il talento, ne risulterà qualcosa di davvero grande.
Ma se l'idea non fosse tanto buona? Se l'idea fosse, magari, anche piuttosto banalotta? Cosa succederebbe? Nel caso l'autore possedesse entrambe le altre qualità, probabilmente riuscirebbe a tirarne fuori qualcosa di buono. Ma se invece ne avesse solo una delle due? Il talento, per esempio? Quanto potrebbe andare lontano? Dai nostri commenti ne abbiamo dedotto che la risposta sarebbe "poco". Al contrario, se oltre all'idea banale, non troppo buona, ci fosse almeno la tecnica, allora quello scrittore sarebbe probabilmente in grado di produrre qualcosa di leggibile, di godibile.
Da qui si è sviluppata un'altra discussione. Quella riguardante il talento in sé. Ci siamo posti soprattutto una domanda: cos'è il talento? E in particolar modo, cos'è il talento letterario?
Io stessa mi sono sempre chiesta se scrivere seguendo almeno le basi delle tecniche narrative non facesse già parte del talento. Uno scrittore che ha talento non si rende da solo conto che un pezzo che ha scritto risulta pesante alla lettura, pur non sapendo che lo è diventato per via di un infodump? Dove inizia il talento?
Cito il commento di Alessandro:
Io associo il talento a una sorta di predisposizione naturale. Metto da una parte quelli che hanno veramente il genio. Parlando dello scrittore medio o esordiente, il talentuoso tenderà ad assimilare meglio e più in fretta le regole e le consuetidini della parola scritta, ma avrà comunque bisogno di sbattere il muso su queste regole. Potrà sicuramente scrivere senza il bagaglio tecnico, ma probabilmente i risultati saranno più in balia del caso, dell'ispirazione e della fortuna.
A me sembra davvero una risposta ben formulata e ponderata e quello che dice mi convince. Infatti mi ritrovo a essere pienamente d'accordo.
Anche Vilma prova a darci una risposta e, secondo me, anche lei aggiunge delle cose molto sensate al nostro discorso:
Anche Vilma prova a darci una risposta e, secondo me, anche lei aggiunge delle cose molto sensate al nostro discorso:
Ho sempre pensato che una cosa riesca bene soprattutto se piace.
Però credo che il talento sia qualcosa di più, nel caso del pittore, ad esempio, secondo me è innato; poi quando è ben coltivato può dare maggiori frutti. Così è per lo scrittore a mio parere. Sento il talento strettamente legato all'anima e a quello che chi scrive è disposto a dare di sé. Più si è generosi, più si coinvolge il lettore. E chi non ha provato non sa che a volte costa fatica. Ma è un fuoco che non si spegne mai, cova sotto la cenere, per questo può consumare. Ma chi ama scrivere crede che la penna sia un'estensione del suo braccio.
Quindi alla nostra definizione di talento si aggiunge un'altra parola e un nuovo concetto: anima. Lo scrittore, oltre al talento e alla tecnica, deve mettere a nudo la sua anima. E non è sempre facile farlo. C'è chi sarà in grado di dare di più di sé ai suoi lettori, chi meno, ma resta il fatto che l'anima, il talento e infine la tecnica siano legati fra loro.
Non tutti, però, la pensano come chi ha commentato finora nel post del sondaggio. Ecco che arriva Alain e cambia le carte in tavola con un commento forte, deciso, sicuro e ci dà una nuova, nuovissima definizione di talento:
Non tutti, però, la pensano come chi ha commentato finora nel post del sondaggio. Ecco che arriva Alain e cambia le carte in tavola con un commento forte, deciso, sicuro e ci dà una nuova, nuovissima definizione di talento:
Diffido dal talento: è un'invenzione di chi non vuol riconoscere il lavoro altrui e autogiustifica così la propria pigrizia.Un concetto di talento/non-talento. Non tutti sono d'accordo, ma ho apprezzato molto il suo intervento perché ci ha fatto riflettere ulteriormente. Inoltre ha introdotto un altro punto: quello di esperienza del mondo. Concetto, questo, molto importante, spesso causa di discussioni fra scrittori e aspiranti tali. Quanto possiamo sporgerci oltre la nostra esperienza per raccontare ai lettori storie che risultino ancora credibili? Quanto influisce la nostra esperienza sul risultato finale dell'opera che stiamo scrivendo? Sulla trama che abbiamo ideato? Sulla credibilità di ciò che abbiamo scritto?
"Talento" vuol dire aver letto (in maniera critica, non facendo le gare per arrivare all'ultima pagina) migliaia di grandi classici (i vampiri sbrilluccicanti non contano) e averne fatto propri i linguaggi e le tecniche; vuol dire avere fatto esercizio, e tanto, buttando via migliaia di cartelle (una più bella dell'altra, a proprio innocente e arrogante giudizio) fino a quando queste non iniziano a divenire indistinguibili da quelle dei Maestri, e anche un po' oltre; ma soprattutto, SOPRATTUTTO, vuol dire avere qualcosa da raccontare (che non significa avere "un'idea narrativa", ma "esperienza del mondo" -- un'esperienza tale da far esclamare al lettore "ma come fa costui a sapere di me tutte queste cose, se nemmeno io me n'ero mai reso conto finora?").
Il talento/non-talento descritto da Alain lascia gli altri non indifferenti. E così Anonima Strega decide di dire la sua a riguardo:
Caro confratello Alain, non mi trovi d’accordo. Sono due aspetti necessari l’uno all’altro e, presi singolarmente, valgono poco. Il talento senza lo studio non porta a niente, ma lo studio senza le idee (l’IDEA rientra nel talento) e le passioni che fanno parte di te da quando sei nato ti lascia sempre un passo indietro. Un bel compitino, niente più. Che la Dea ti benedica, Anonima Strega
Anche io la penso in modo diverso da Alain, ma non su tutto. Sull'esperienza del mondo sono abbastanza d'accordo, ma sul talento abbiamo idee del tutto differenti, e quando dico nei commenti:
E quando è tutto studio e niente talento, secondo il mio personalissimo parere, manca sempre quel qualcosa in più, quella scintilla.
non sono sicura di aver fatto arrivare agli altri ciò che intendo dire, ma poi interviene Valeria e lei esprime in poche parole quello che volevo dire io:
E alla fine la mia conclusione, banalissima e abusata quanto volete, ma forse riassume un po' tutto il discorso:
Il talento è una capacità innata. Un diamante grezzo ancora da levigare. E a dargli la giusta levigatura è la tecnica. In un buono scritto, l'autore riversa parte della sua anima e la sua esperienza del mondo, estraniandola dai fatti presonali e rendendola universale, così che ogni lettore possa in qualche modo riconoscersi fra le righe.
E voi cosa ne pensate? Sarei contentissima di continuare il discorso sia qui, nei commenti, che su Facebook, Twitter e/o Google+! Quindi fatevi sentire!
Ringrazio tutti coloro che hanno votato anche per questo sondaggio, coloro che hanno contribuito con un commento (siete stati grandi e avete dato vita a una bellissima discussione!) e a chi ha letto e forse vorrà ora dire la sua!
Ecco, e si ritorna all'anima. Uno scritto, con tanta tecnica ma senza talento, non resta che un compitino senz'anima. Forse un compitino è esagerato, perché anche chi sfrutta la tecnica in mancanza di talento ha il suo bel da fare, quindi per me i suoi sforzi sono ancora più grandi di chi il talento ce l'ha, ma il fatto che manchi qualcosa fra le righe, qualcosa che arrivi dritto al lettore e lo lasci incantato, preso del tutto da ciò che legge... ecco, quello, secondo me, manca.Tutti e due. Il talento è istintivo, la tecnica è basata sulla ragione, sul calcolo, pertanto si completano a vicenda: il talento trova la sua massima espressione in un sapiente uso della tecnica, mentre la tecnica senza il talento... è un compitino senz'anima.
E alla fine la mia conclusione, banalissima e abusata quanto volete, ma forse riassume un po' tutto il discorso:
Il talento è una capacità innata. Un diamante grezzo ancora da levigare. E a dargli la giusta levigatura è la tecnica. In un buono scritto, l'autore riversa parte della sua anima e la sua esperienza del mondo, estraniandola dai fatti presonali e rendendola universale, così che ogni lettore possa in qualche modo riconoscersi fra le righe.
E voi cosa ne pensate? Sarei contentissima di continuare il discorso sia qui, nei commenti, che su Facebook, Twitter e/o Google+! Quindi fatevi sentire!
Ringrazio tutti coloro che hanno votato anche per questo sondaggio, coloro che hanno contribuito con un commento (siete stati grandi e avete dato vita a una bellissima discussione!) e a chi ha letto e forse vorrà ora dire la sua!
Trovate il sondaggio con tutti i commenti qui: Sondaggio: tecnica o talento?
Se avete qualche idea sulla domanda da porre nel prossimo sondaggio, lasciatemi un commento e vedrò cosa si può fare!
Sil
I risultati del sondaggio sono molto interessanti, perché mettono in luce le tante tessere che compongono il mosaico del bravo scrittore. Credo che più spesso - visto che la perfezione non esiste - gli autori bravi lo siano "nonostante", nel senso che quasi sempre una delle tessere è più debole. Sta all'autore tentare di compensarne la debolezza tramite le altre tessere. Così c'è chi scrive trame stupende, ma raccontate con lo stile delle istruzioni del Moulinex, e chi è originale e talentuoso, ma involuto e poco attento al ritmo della storia, tanto da fare addormentare i lettori. I fronti di miglioramento sono sempre due: cercare di migliorare i propri lati deboli e rafforzare quelli già forti per dare loro maggiore peso nella storia. Poi capita che un autore faccia del suo difetto la particolarità che lo rende grande, ma credo accada di rado e con gloria postuma. Grazie del bell'articolo! :)
RispondiEliminaAnzi, lo linko sul mio post di oggi. :)
EliminaGrazie mille, Grazia! :D Anche per l'interessante commento che hai lasciato. In effetti è vero, di solito, se anche si possiedono entrambe le cose (talento e tecnica), una sarà sempre piú sviluppata e bisognerà lavorare sui due fronti per migliorare :)
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