Titolo: Ferro 3 - La casa vuota (orig.: Bin-Jip 3 - Iron)
Regista: Kim Ki-duk
Genere: Drammatico
Durata: 90 minuti
Nazionalità: Corea del Sud
Anno: 2004
Trama:
La storia narra di Tae-Suk, un ragazzo che ha la strana abitudine di entrare nelle case momentaneamente disabitate e comportarsi come se ne fosse il padrone, lavando i panni sporchi dei proprietari e persino aggiustandone gli oggetti rotti o guasti. In una delle case in cui si introduce viene sorpreso da Sun-Hwa, una giovane donna che poi si apprenderà essere vittima di un marito violento. Al proprio rientro quest'ultimo sorprende lo sconosciuto nel proprio giardino, ma prima di poter avvisare le forze dell'ordine, ne subisce la "punizione". Il giovane lo bersaglia violentemente con delle palline da golf (colpite con la mazza ferro 3, da cui il titolo del film) per poi andare via con la ragazza che, senza che i due si siano scambiati una parola, decide di seguirlo. (La trama è presa da Wikipedia, ma ne ho riportato solo una parte per non spoilerare troppo).
Recensione:
Dico direttamente che questo film mi è piaciuto tanto, ma proprio tanto. Mi ha ricordato un po’ i libri di Murakami. Soprattutto per il finale con quella frase, che ho riletto minimo tre volte per non scordarla: "è difficile dire se il mondo in cui viviamo è sogno o realtà". Una frase che lascia al telespettatore la libertà di interpretare a suo modo quello che ha appena visto. E proprio questa libera interpretazione fa sì che tutto quello che abbiamo passato insieme ai protagonisti trovi il suo posto nel puzzle dei sentimenti che ha suscitato in noi.
Nel film vengono rappresentati diversi tipi di violenza, anche se nessuno viene poi approfondito davvero. Ci viene solo ricordato che esistono: da quella domestica, subita dalla protagonista, a quella causata da una lite fra amanti o da un incidente. In una scena ci viene anche ricordato che bisogna stare attenti a ciò che si desidera perché, come ormai si sa, potrebbe avverarsi e ancora che la felicità non sta nelle cose che non abbiamo, ma nel riconoscere quello che abbiamo. Sembrano concetti banali, triti e ritriti, ma il modo in cui Kim Ki-duk ce li ripresenta è, secondo me, molto originale e d'impatto.
Fra tutte le case che i protagonisti "visitano" a insaputa dei proprietari, solo una è piena d’amore e d’armonia: quella dei due giovani coniugi, con un divano e il té. Ecco, loro sembrano felici.
Ho trovato bellissima l’immagine dei due protagonisti che si pesano e la bilancia segna lo zero. Mi è stato detto che in quel momento e durante tutto il film si fa riferimento al concetto del vuoto, del silenzio come concepito in oriente, quindi come qualcosa di molto positivo. E in questo modo lo trasmette anche il film, e così mi è arrivato. Invece alla scena della bilancia, appunto, ho dato una mia interpretazione, che forse in un certo senso si avvicina: i due in quel momento hanno tutto quello di cui hanno bisogno, il resto del mondo è fuori. I due, insieme, si completano, a loro non serve nient'altro e non si preoccupano più di nessuno al di fuori del loro mondo, l'unico che conta davvero.
Bello anche il concetto dell’invisibilità. Tae-Suk c'è ma alla fine nessuno lo vede, ma solo perché lui non vuole essere visto da loro e forse perché loro preferiscono non vederlo.
Di questo film se ne potrebbe parlare per ore, ognuno con un'interpretazione propria di ciò che ha visto, e non ci si sazierebbe mai di commentarlo. In conclusione si può dire che ci sono un sacco di concetti che si possono interpretare a modo proprio, in base a quello che il film suscita in chi lo sta guardando.
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